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Quando mi soffermo sui viaggi fatti, ho la fortuna di tenere separati i ricordi che mi legano alle località visitate nel corso degli anni. Devo ammettere che ogni tanto medito più a lungo di quanto non dovrei, e parafrasando qualcuno passato alla storia, direi che anche per me “la memoria è nemica del riposo”. Le esperienze passate mi indicano che è giusto perseverare seguendo alcune rotte, specie se quell’esplorazione si è rivelata fondamentale per la conoscenza di se stessi. Esistono tappe inevitabili, di cui non puoi fare a meno. Te ne accorgi già all’arrivo, quando ti imbatti in strade tinte di rosso, pronte a interrompersi al cospetto di giungle, deserti, cascate che si gettano in parchi nazionali popolati da animali millenari o laghi vulcanici i cui padroni restano rane, coccodrilli e camaleonti.  Molti di voi avranno capito che i ricordi oggi mi portano in Madagascar, ma non tutti sanno che ogni volta che tiro in ballo l’”isola Rossa”, la tentazione di tornare è più forte della voglia di contemplare foto o immagini.

ALBERI E ANCORA ALBERI

Partiamo da un presupposto: certi paesi sono talmente ricchi di fascino, che poeticamente ti rapiscono, ma concretamente ti insegnano tantissimo. Il Madagascar assolve benissimo questo compito, perché dimostra che non ci dovremmo mai accontentare di chiamare tutto con lo stesso nome. Sullo sfondo di un paesaggio estremamente eterogeneo che si adegua ad un clima altrettanto complesso, l’isola rossa ci ricorda che sulla terra esistono infinite specie di animali, piante o insetti. Onestamente, cogliere la biodiversità da queste parti è più semplice che in lande desolate: basta guardare gli alberi. Lungo la via dei baobab, leggendari per altezza e longevità, o ovunque crescano palme simili a ventagli, con foglie che raccolgono l’acqua e giustificano fama e generosità di questi “alberi del viaggiatore”. Già, ci sono alberi e alberi che, a prescindere delle differenze, restano insostituibili compagni di viaggio e di vita.

UN “SANTUARIO DELLA NATURA”

Gli alberi del Madagascar non sono semplicemente belli o imponenti, architetture di un paesaggio destinato a restare scolpito per sempre nella memoria di chi lo vive. Sono un rifugio vitale e insostituibile per animali singolari e imprevedibili come i lemuri, riconoscibili per code ad anelli o per code lunghe più del corpo. Alcuni sono capaci di saltare e ballare, altri di nascondersi nella foresta e vivere di notte. A dispetto di specie di lemuri più solitari, io mi sono imbattuto in creature che amavano invece mettersi in posa dopo aver saltellato tra fili di erba che svettano nella savana. Ho scoperto che sono diretti antenati della scimmia e se dopo migliaia di anni si rifugiano ancora qui danno ragione a tutti coloro che hanno soprannominato l’isola “santuario della natura”: a terra, così come in aria – il birdwatching è consigliatissimo – o in mare aperto. Il Madagascar osa sfidare l’immaginazione, regalando a chiunque decida di immergersi vere e proprie foreste sott’acqua.

LA PREGHIERA DEL PESCATORE

L’isola malgascia è circondata da mari pescosi, per questo il pescatore più abile da queste parti potrebbe trasformarsi nel protagonista di una leggenda o in un autentica star. Ne ho conosciuti un paio che meriterebbero davvero di finire dritti dritti tra le pagine di un romanzo. Come le piroghe e le canoe che costruiscono  – a proposito, qui ve ne sono alcune che si chiamano sambuchi – destinate ad alimentare la fantasia del viaggiatore che, immergendosi, nuota in foreste sott’acqua tra mante e tartarughe. Ma questo mare da sogno è invece vitale per la popolazione locale, che conta sulla sua benevolenza e generosità per poter sopravvivere. La poesia dell’acqua di cristallo di arcipelaghi noti come Nosy Be è custode di un miracolo capace di preservare la vita di pesci bellissimi, ma anche di esaudire l’ennesima preghiera del pescatore. Ripetuta tacitamente ogni mattina, anche con la luce dorata dell’alba sullo sfondo.

GEMELLI DIVERSI

Ancora una volta, da brava maestra, l’isola smentisce ogni conclusione frettolosa. I malgasci ti accolgono nella loro lingua e si esprimono anche in francese, hanno tratti somatici simili, ma nel loro DNA si annidano i segreti delle tante migrazioni da paesi africani, asiatici o da territori ancora più distanti. Sugli altipiani interni, attorno alla capitale, ma anche sulla costa, il viaggiatore più curioso avrà modo di constatare che il melting pot non è un concetto poi così recente. Dai Merina ai Bara, ciascuna delle diciotto tribù si confonde e si distingue agli occhi del visitatore, al punto che la loro convivenza è di per sé un patrimonio di incredibile valore. Incalcolabile e inimmaginabile in altri luoghi, vicini e lontani da un paese che è non è solo isola rossa, ma isola dai mille colori.