Si può vivere tutta una vita senza avere la minima idea di cosa sia un porto sicuro, o piuttosto ignorare che è possibile approdare su un’isola paradisiaca capace di rendere benissimo l’idea. 

Immaginate di finire catapultati nel cuore di un arcipelago ad est della Thailandia, e di scoprire – come è capitato a noi – che Koh Samui è davvero un rifugio sicuro, come la lingua thai insegna. Arrivare sull’Isola di Samui segna infatti una sorta di ritorno al grembo materno: ti senti cullato dal mare, protetto da alberi di cocco più alti di tutte le case – lo stabilisce una legge governativa – edificate secondo i canoni di un’architettura lontana anni luce da uno stile convenzionale. 

Sentirsi protetti a migliaia di chilometri da casa nel bel mezzo dell’oceano è qualcosa che va oltre lo stesso concetto di isola da sogno, dove è impossibile non meravigliarsi per tutto ciò che si trova dentro la linea dell’orizzonte. I primi a rendersi conto di quanto fosse accogliente quest’angolo di Tailandia a seicento chilometri da Bangkok – raggiungibile con voli regolari – sono stati dei pescatori provenienti dalla Cina meridionale ben quindici secoli fa. Da quel momento in poi,  il suo essere “porto sicuro” ha reso possibili gli scambi di natura commerciale e garantito una certa indipendenza rispetto alla terraferma. 

Quest’isola è quindi rimasta ostinatamente se stessa, incontaminata, selvaggia, pura come il primo giorno. Lo dimostrano gli eventi recenti: negli anni sessanta sono stati gli hippie a riscoprirla, attirati da una natura che incarnava lo spirito incorrotto di ciò che cercavano e non riuscivano a trovare altrove

Percorrevano la giungla ai piedi di Khao Pom, il monte che domina Samui, soltanto cinquant’anni fa. Quando mancavano ancora le strade. Quando acqua corrente ed elettricità erano ancora un bene di lusso. Eppure, ogni forma di vita è andata avanti nei secoli, incoraggiata da una forza misteriosa che da un lato ha spinto i nativi a rispettare una vegetazione rigogliosa e dall’altro è riuscita a “domare” il clima. In questa porzione dell’arcipelago tailandese i monsoni durano meno e la temperatura non scende mai sotto i diciotto gradi, mentre le piogge cadono per gran parte dell’anno al massimo venti o trenta minuti. Dopo essere stata punto di riferimento per uomini di mare e “procacciatori d’avventura”, oggi sulle sue spiagge approdano tre milioni di turisti ogni anno. 

Proprio a chi ci fa notare che Samui è sempre più meta ricercata dal turismo internazionale, ricordiamo che in duecentoquaranta km quadrati tra giardini tropicali, resort caratteristici e spiagge infinite, è comunque possibile ricavarsi “un rifugio nel rifugio”. Merito non solo dello spazio a disposizione, ma anche dei ritmi rilassati che la popolazione autoctona è riuscita a preservare. Il viaggiatore dimentica lo stress di fronte all’espressione pacata e sorridente sul volto dei nativi: chi abita qui è calmo e gentile di natura, non per opportunismo o scelta strategica.

Questo senso di ospitalità è facilmente riscontrabile ovunque, considerando che è possibile spostarsi da un punto all’altro dell’isola in moto, in taxi o a bordo dei caratteristici Sawngthaews, tipici furgoncini rossi capaci di trasportare anche quattro persone. 

Se invece volete tenervi lontano dalle strade, magari perché il più minimo rumore vi teletrasporta a casa, allora potete concedervi il lusso di scegliere una spiaggia diversa ogni giorno, senza aver timore di essere delusi: da Chaweng Beach a Bophut Beach, dove non mancano boutique e ristoranti, a Lamai Beach dove spiccano le “indimenticabili” Grandpa e Grandma Rocks. Per coloro che cercano sabbia bianca e acqua bassa dove nuotare tranquilli, Lipa Noi potrebbe essere un’alternativa più che valida, mentre Silver Beach con la sua baia si rivela un’ottima soluzione per giri in canoa o immersioni. Tutto ciò nel massimo della riservatezza, magari tra un massaggio e l’altro. 

In questo habitat paradisiaco, il Paradiso lo trovi anche se l’aeroporto è poco distante. Vicinissima alla Big Buddha Beach, svetta una statua raffigurante un Buddha alto dodici metri, raggiungibile percorrendo una scalinata che porta direttamente in cima. Anche quando il sole va a dormire il Paradiso resta, servito su un piatto d’argento come la cena di ottimo pesce da assaporare letteralmente in riva all’oceano”. 

A distanza di anni, quando pensiamo al nostro primo viaggio a Koh Samui, ci rendiamo conto che effettivamente siamo stati molto fortunati. Da allora, viviamo in uno stato di andata e ritorno perenne: questo luogo è rimasto dentro di noi e poi è cresciuto per mesi e mesi, prendendo finalmente vita. Al punto che quando è nato nostro figlio non potevamo scegliere un altro nome per dargli il giusto benvenuto a questo mondo che ha così tanto da offrire. Siamo sicuri che attraverso i suoi occhi, un giorno lì Samui troverà la sua ragione speciale per andare – e tornare – nell’isola che c’è. In quel luogo dove, in un certo senso, la sua avventura ha avuto inizio.

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